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Flexicurity, il modello della sicurezza flessibile

Il termine flexicurity può risultare già noto a molti, in quanto viene spesso utilizzato sui giornali, in studi di settore e dibattiti televisivi dedicati al mondo del lavoro. Ma di cosa si tratta e perché è preso ad esempio come modello di welfare?

Cos’è la flexicurity

Flexicurity è un neologismo inventato negli anni ’90 per identificare il modello di welfare danese ed unisce in sé le parole “flexibility” (flessibilità) e “security” (sicurezza).

Un modello di welfare è l’insieme delle politiche che un governo attua per garantire diritti e servizi sociali. Esistono diversi tipi di welfare state: tra questi, molto famoso risulta essere il modello di stato sociale dei paesi scandinavi, basato su un livello dei servizi molto alto che viene finanziato da un altrettanto elevato livello di tasse.

Il golden triangle

La flexicurity del modello danese si basa in particolare su tre condizioni (denominate il “triangolo dorato”):

  1. Flessibilità del mercato del lavoro (in entrata e in uscita)
  2. Sistema di protezione sociale generoso e universale
  3. Politiche attive per il mercato del lavoro

In pratica, il processo previsto sarebbe questo: il mercato di lavoro flessibile espelle di frequente un alto numero di lavoratori, i quali accedono a generosi sussidi di disoccupazione; i lavoratori espulsi rientrano in attività in un lasso di tempo relativamente breve, grazie all’aiuto dei servizi per l’impiego, o in un lasso di tempo più lungo, dopo essere passati attraverso programmi di politiche attive che ne incrementino le qualifiche (skills) e l’occupabilità.

Il punto forte e più importante di questo modello sono infatti le politiche attive di lavoro, cioè tutte le misure volte ad accompagnare le persone nell’inserimento e nel reinserimento lavorativo. I principali strumenti sono quindi l’orientamento, la formazione, la riqualificazione, l’alternanza scuola/lavoro, i tirocini, la creazione diretta di posti di lavoro, gli incentivi per start-up e la ricerca attiva.

Alcune criticità del modello

Questo modello ha rappresentato un fiore all’occhiello per la realtà danese (a questo link un’analisi breve ma efficace della stessa ambasciata danese sul tema), ma presenta anche alcune criticità:

  • in primo luogo, è necessario verificare in che misura è possibile replicare il successo del modello danese fuori dal suo contesto originario;
  • secondariamente, questo modello in Danimarca non è riuscito a risolvere le difficoltà di inserimento nel mercato del lavoro dei gruppi di lavoratori più svantaggiati (immigrati, lavoratori con basso livello d’istruzione) perché incontrano difficoltà a riqualificarsi attraverso le politiche attive e i piani formativi previsti;
  • infine, il modello della flexicurity è molto costoso e difficilmente sostenibile in una fase di recessione.

È comunque da sottolineare che l’idea di bilanciare flessibilità e sicurezza si è ormai diffusa in tutta Europa e questa sembra essere la strada da percorrere per creare occupazione e rispondere alle nuove necessità del mondo del lavoro, sempre più caratterizzato da un contesto economico in continuo cambiamento. Ai singoli governi il compito di declinarlo nel modo più opportuno per i diversi Paesi.

 

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