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Come creare occupazione in Italia?

Con i livelli di occupazione più bassi dagli anni ’70, l’Italia si trova senza ombra di dubbio in uno dei periodi più bui sul versante di produttività, lavoro e sviluppo. Aldilà della crisi economica internazionale, la quale ha attraversato diversi settori e moltissime nazioni, resta da chiedersi come i singoli governi possano cercare di ovviare a tale male con cambiamenti mirati.

Quali sono le ricette messe in campo? Quali sono le soluzioni proposte da varie figure della politica e dell’economia in Italia? Vediamo alcuni dei punti principali attraverso i quali si snodano il futuro dell’occupazione e della produttività in Italia. Cosa dicono gli esperti?

1. Troppe tasse: ridurre il cuneo fiscale

Come recita Wikipedia, il cuneo fiscale è

un indicatore percentuale che indica il rapporto tra tutte le imposte sul lavoro (dirette, indirette e contributi previdenziali) e il costo complessivo del lavoro.

Quando è troppo alto, le imprese fanno fatica a sostenere l’investimento nel lavoro necessario. Occorre ridurre il cuneo fiscale in Italia, uno dei più alti al mondo, come dice FreeSkipper già sulla situazione del 2012:

Occorre ridurre il cuneo fiscale! Adesso! Subito, senza perdere altro tempo! Se non vogliamo far abbassare definitivamente la saracinesca al Paese Italia!

Nel 2012, infatti, è stato registrato un saldo decisamente negativo tra le nuove assunzioni e le perdite dell’impiego: a fronte dei 10,2 milioni di rapporti di lavoro attivati, sono stati registrati quasi 10,4 milioni di lavori cessati per dimissioni, pensionamenti, scadenze di contratti e licenziamenti, sia collettivi che individuali.

Tra questi, sono emersi 1.027.462 licenziamenti: il 13,9% in più rispetto al 2011 e il fenomeno è in fase ascendente: nell’ultimo trimestre dello scorso anno, infatti, i licenziamenti sono stati 329.259, con un innalzamento della media rispetto allo stesso periodo del 2011 del 15,1%. Da ottobre a dicembre scorsi, inoltre, le nuove assunzioni sono state 2.269.764, con un calo netto del 5,8% rispetto allo stesso trimestre del 2011.

2. Il ruolo della flessibilità

Cesare Damiano, dalle colonne di Europa, interpreta il nuovo progetto di Jobs Act firmato da Matteo Renzi come un tentativo interessante di promuovere una cultura della minore flessibilità per creare maggiori volumi di occupazione:

Il Jobs act di Matteo Renzi non commette l’errore di assumere come priorità un nuovo cambiamento delle regole del mercato del lavoro.

Si evita in questo modo di correre il rischio di concentrare l’attenzione solo sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, ma soprattutto si riconosce che per creare occupazione è necessario favorire lo sviluppo del paese e non soffermarsi sul falso problema di una ulteriore flessibilità.

Il nostro è un sistema iper-elastico (alcune fonti parlano di oltre 40 forme di impiego a disposizione delle aziende) e se vogliamo intervenire sulle regole che governano il mercato del lavoro dobbiamo piuttosto mantenere come centrale la lotta alla precarietà. Il punto di partenza è disboscare le modalità flessibili di impiego, come fece il governo Prodi nel 2007, scelta che favorì l’aumento della quota di lavoro a tempo indeterminato nelle nuove assunzioni di quegli anni.

3. Incentivare la cultura

Secondo la nota scrittrice Dacia Maraini è necessario restituire un ruolo centrale alla bellezza e alle imprese culturali, che a suo avviso permettono di “mangiare, e anche bene”:

Bellezza e occupazione possono andare d’accordo? Protezione dell’ambiente e occupazione possono sostenersi a vicenda? Chi crede solo nell’industrializzazione forzata, nella liberalizzazione edilizia e nella cementificazione del territorio, risponde di no, sostenendo che arte, cultura, ambiente e prevenzione non danno lavoro e comportano solo spese. Molte voci consapevoli stanno dimostrando invece, prove alla mano, che un Paese privo di materie prime come il nostro, può svilupparsi solo puntando sulle sue eccellenze. […]

Prendo qualche dato fornito da Roberto Ippolito, autore del lucido e informatissimo libro Ignoranti, Chiarelettere. Quest’anno i visitatori della Biennale d’arte di Venezia sono stati 475 mila, l’8% in più rispetto al 2012. A Torino i musei hanno aumentato i loro visitatori del 50% dal 2012. Nella città di Torino e provincia si contano oggi più di 33.000 addetti alla cultura, il doppio dei dipendenti Fiat. Purtroppo spesso la trascuratezza e la speculazione allontanano i turisti, fino a impoverire intere zone di alta qualità artistica. […]

Come partecipazione alla vita culturale, l’Italia si trova al 23° posto su 28 Paesi dell’Unione Europea. Fra gli ultimi per laureati, per quantità di lettori, abbiamo una dispersione scolastica da Paese sottosviluppato, e la scuola è degradata. […]

Dove c’è abbandono e cattiva gestione, la gente scappa. «L’Italia non ha capito che potrebbe recuperare migliaia di posti di lavoro puntando sulle sue vere, invidiate e inesauribili ricchezze».

4. Puntare su alcune categorie

Walter Passerini de La Stampa evidenzia il bisogno di tutelare alcune categorie sociali, e puntare su di loro al fine di innescare un circolo virtuoso occupazionale. Vediamo quali:

Gli inattivi. Gli ultimi dati indicano ancora, anche se in lieve flessione, il dato impressionante di quasi 15 milioni di inattivi. Così le statistiche definiscono chi non appartiene alle forze di lavoro e non cerca un”occupazione. Sappiamo che molti inattivi sarebbero disponibili a lavorare a certe condizioni, ma le rigidità di alcune norme impediscono una loro più massiccia partecipazione al lavoro. Per creare occupazione è necessario partire da una riduzione degli inattivi.

Le donne. Rappresentano un bacino di potenzialità occupazionali importante, ma anche qui, una serie di rigidità, in questo caso culturali e di assenza di servizi, impediscono alle donne una più avanzata partecipazione al mercato del lavoro. Gli economisti della cosiddetta “womenomics” hanno calcolato che per ogni posto di lavoro rosa creato ne nascono almeno altri due nei servizi. L”Italia è in Europa il Paese con il record negativo della peggior partecipazione femminile al mondo del lavoro: solo quattro donne su dieci lavorano, mentre potrebbero essere almeno sei su dieci.

I giovani. Ottengono spesso e fasi alterne l”attenzione dei media, molto meno quella dei politici e dei governanti. In Italia vi è ormai una frattura generazionale molto pericolosa, che relega nell”area della precarietà oltre quattro milioni di persone, spesso giovani laureati con elevato titolo di studio, molti dei quali (più di 40mila all”anno) decidono di lasciare il nostro Paese e di cercare maggiori riconoscimenti all”estero. Valorizzare i giovani significa dare valore anche allo studio e alla formazione del capitale umano. Secondo gli esperti, sarebbe necessario oggi un intervento per porre dei limiti, anche temporali, alla temporaneità dei contratti di lavoro.

Gli over 50. Sono oltre un milione gli over 50 che si arrangiano e non lavorano. Molti sono stati espulsi dai processi lavorativi come degli esuberi, molti sono in cassa integrazione, molti non raggiungeranno una pensione decente. Quelli più a rischio sono i generici a basso titolo di studio e a bassa competenza. Sono tre su dieci gli over 55 al lavoro, dovrebbero essere almeno cinque su dieci.

Le ricette che governo, imprese e parti sociali dovranno mettere in atto sono incerte: il quadro offre vari spunti di interpretazione. Quel che resta certo è la necessità di attuare un cambiamento strutturale che favorisca al contempo imprese e lavoratori.

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