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La tecnologia porta disoccupazione?

In un mondo del lavoro in profonda e costante trasformazione, molte sono le domande che i non esperti si pongono sul futuro. Cosa sta cambiando? Come possiamo affrontare le nuove sfide? Quali sono le cause più importanti?

Uno degli aspetti che spesso vengono citati quando si parla di lavoro è il tema della tecnologia. Il progresso che Internet e i moderni device hanno apportato, nonché l’evoluzione costante di interi settori produttivi, lascia una domanda dalla risposta incerta: la tecnologia porta disoccupazione?

Saranno necessari sempre meno lavoratori per portare a termine compiti meno evoluti? Saremo davvero “sostituiti” da software e robot?

Kenneth Rogoff, economista e docente all’Università di Harvard, spiega in un suo articolo perché non sarà così.

Occorre pensare bene alle implicazioni reali che la trasformazione tecnologica implica. “Trasformazione” è proprio il termine esatto per descrivere il modo in cui la questione andrebbe affrontata: non nei termini di una apocalisse della disoccupazione, ma come una riorganizzazione inevitabile del sistema lavoro attorno alle evoluzioni del nostro tempo.

Fin dall’inizio dell’era industriale era diffuso il timore che l’innovazione della tecnologia potesse generare disoccupazione. Come previsto da notabili economisti, questo non è successo:

Duecento anni di innovazioni straordinarie fin dagli albori dell’era industriale hanno prodotto l’aumento del tenore di vita della gente comune in gran parte del mondo, senza alcuna tendenza ad un forte incremento della disoccupazione. Si, ci sono stati molti problemi, in particolare periodi di impressionanti disuguaglianze e di guerre sempre più terribili. A conti fatti, però, in gran parte del mondo, le persone vivono più a lungo, lavorano un numero di ore molto inferiore, e in generale conducono una vita più sana.

La velocità della trasformazione

Il problema, sostiene Rogoff, non è tanto se la tecnologia diminuisca i posti di lavoro in generale. La risposta a questo dubbio è negativa: quello che l’avanzamento tecnologico porta è la necessità di riorganizzare e ristrutturare.

Il cambiamento, tuttavia, può avere diverse velocità. Può essere il lento progresso nel sistema della logistica industriale, che rende via via meno lavoro umano necessario e sposta le risorse ai reparti di controllo; può essere un nuovo brevetto, che mette fuori dal mercato certi prodotti ed attira lavoratori verso altre aziende.

In taluni casi, tuttavia, il cambiamento è così repentino che è difficile per il sistema assorbire velocemente il colpo. E a farne le spese sono sempre i lavoratori che non riescono a riadattarsi velocemente. Mentre per i più giovani è relativamente facile “reinventarsi”, per chi è più in avanti con gli anni e ha svolto un lavoro con successo per vari decenni, sarà difficile accettare la necessità di cambiare.

La tecnologia aiuta il lavoro

Rogoff sostiene in definitiva che la tecnologia non distrugge e non toglie, ma aiuta il progresso del mondo produttivo, trasforma la nostra realtà imponendoci di ripensare i nostri dogmi in favore di nuove strutture, nuovi modi di agire e produrre.

Una temporanea crescita della disoccupazione è possibile, ma altre sono le cause principali secondo l’economista:

Naturalmente, un certo aumento della disoccupazione come esito di un più rapido cambiamento tecnologico è certamente probabile, specialmente in posti come l’Europa, dove una pletora di rigidità inibisce aggiustamenti armoniosi. Per ora, comunque, gli alti livelli di disoccupazione degli ultimi anni possono essere attribuiti principalmente alla crisi finanziaria, e in ultima analisi dovrebbero ritirarsi verso i livelli di riferimento storici.

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